Molto rumore per nulla, quindi?
Purtroppo, no: oltre lo spropositato incontrollabile clamore e l’asprezza delle polemiche suscitate (facilmente prevedibili, no?), molte cose si sarebbero forse potute evitare se si fosse preventivamente messa in atto una scelta partecipata che coinvolgesse nei modi più opportuni – oltre che amministratori pubblici, storici ed esperti d’arte- la società civile: associazioni, cittadini, giovani.
Il mancato coinvolgimento dei figli dell’artista, legittimi testimoni e custodi della sua memoria, non può essere percepito come una maldestra svista protocollare, sembra piuttosto una estromissione intenzionale, con la precisa volontà di evitare possibili intralci all’operazione. Tra i tanti aspetti sfuggiti agli sbadati organizzatori dell’evento, schierati sotto al dipinto in foto apparse sui media locali e nazionali, è il caso di ricordare la precisa volontà espressa dall’artista nell’accettare irrevocabilmente la definitiva scomposizione/ rimozione del dipinto (di cui furono distrutti anche i disegni preparatori) e l’esistenza di una legge sui diritti d’autore [“Il diritto morale mira a tutelare la personalità dell’autore, il suo onore e la sua reputazione con una corretta comunicazione agli altri delle sue opere …. l’eventuale cessione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera da parte dell’autore a terze figure, non pregiudica il diritto morale che rimane inalterato … Dopo la morte dell’autore il diritto morale può essere fatto valere, senza limite di tempo, dal coniuge e dai figli (art.23 L. 633/41)”].
L’idea di “tenerci fuori” è presto naufragata nella bufera di attacchi indiscriminati e di giudizi sommari e irriguardosi che hanno toccato pesantemente non solo l’opera artistica (che è stata perlopiù ridicolizzata – il soggetto, purtroppo, si presta - ma pazienza, l’esercizio del diritto di critica non si discute, per carità …) ma soprattutto la sfera privata di Aldo Castelli (il che è davvero difficilmente tollerabile). Alla famiglia tutta avrebbe potuto essere risparmiato l ’inutile strazio di scoprire e veder circolare in rete un sedicente “documento storico in possesso di un comandante partigiano”, praticamente una lista di proscrizione scritta a mano, stilata probabilmente alla caduta del fascismo, in cui accanto al nome di Aldo Castelli compariva una laconica, scioccante definizione: Conferenziere di propaganda Fascista. Qualcuno pensa che per “fare i conti con la storia” si debbano risvegliare oggi le penose lacerazioni sociali e gli insostenibili disagi esistenziali che le epurazioni - talvolta sommarie - provocarono nel periodo post-fascista. All’epoca, nella famiglia Castelli e nella cerchia di amici i conti con la storia dovettero essere chiusi: fu fatta chiarezza, ci furono spiegazioni, scuse forse, e certi rancori furono sopiti per sempre.
Aldo Castelli fascista, proprio no: minacciato dai repubblichini di Salò che si era rifiutato di seguire, si unì a un gruppo di partigiani (ma abbandonò la “lotta clandestina” dopo un paio di giorni, incapace di tollerare i disagi e di affrontare le difficoltà materiali, fragile com’era … ). Piuttosto disimpegnato sul piano politico, aveva tuttavia un istintivo senso della democrazia che esercitava coerentemente e assiduamente sia nella vita pubblica che privata.
Era un artista, questo sì, ma non di regime; è l’autore del dipinto sconsideratamente riesumato e esposto pubblicamente ma anche di tantissime altre opere forse degne di maggior attenzione; francamente sembra ingeneroso e poco sensato che - per scelta di alcune autorità locali -nella memoria cittadina (e a questo punto anche nazionale, purtroppo) il suo nome debba essere associato ad un’unica opera eseguita su commissione nel 1937 - opera giustamente destinata all’oblio – e che la sua intera e varia produzione artistica rimanga sepolta nel dimenticatoio.
Chi si dovrà ringraziare di tutto questo assordante clamore di cui avremmo volentieri fatto a meno?
E chi avrà il buon gusto di chiedere scusa?