Massimo Silva e un sogno chiamato Ascoli

Massimo Silva e un sogno chiamato Ascoli

È il 26 maggio 2012, sono da poco passate le 22: la storia bianconera scrive una nuova pagina. La mano è quella di Massimo Silva. È a Padova dove si chiude il cerchio. L'Ascoli Calcio raggiunge una salvezza miracolosa. Di nuovo. Stavolta però è una vera impresa. Passo indietro. Il calendario segna il 2 novembre 2011 quando arriva sulla panchina bianconera Massimo Silva. In città c'è il sole, ma nelle vene dei tifosi scorre il gelo. Qualche ora prima il Picchio aveva toccato il fondo a Bergamo. La salvezza era lontana 14 punti. Un miraggio e niente di più. Ma il destino non aveva fatto i conti con lui.

Gara dopo gara, ecco la cavalcata, ecco le prime gioie, i primi abbattimenti. Poi ecco Padova e il sogno non è più sogno. Pronti via, si riparte. È una nuova stagione, una nuova avventura. Al timone c'è sempre lui. Il Picchio vola, cade e si rialza. Arriva a toccare quasi il cielo, poi le ali si bruciano. A La Spezia qualcosa si rompe. Nulla sarà come prima. E' un batticuore di emozioni: i malumori prendono il posto dei sorrisi.

E poi, come dieci mesi prima, ancora una notte. Stavolta il teatro è il Del Duca. E stavolta nessuna gioia, ma solo dramma. La disfatta con gli amaranto indica la via. Ma sono le vergognose contestazioni alla fine a fare davvero male. Soprattutto a lui. “La riconoscenza non esiste in natura, è dunque inutile pretenderla dagli uomini”, amava scrivere Lombroso. Nessuno non sbaglia mai. Però il tempo è come il vento, si dice, si porta via il leggero e lascia il pesante.
Perché non esiste separazione definitiva fino a quando c'è il ricordo.