Crowd sourcing, come emergere nel fashion direttamente col pubblico

Crowd sourcing, come emergere nel fashion direttamente col pubblico

I visitatori potranno condividere le loro idee con gli stessi designer e dare un voto alle collezioni

I visitatori potranno condividere le loro idee con gli stessi designer e dare un voto alle collezioni. E' tutto ispirato ai social network come Facebook o Twitter. E' un modello di business che prende sempre più piede: il crowd sourcing ovvero sono le imprese che si rivolgono direttamente ai clienti per contenuti, finanziamenti e distribuzione.
Daniel Gulati, amministratore delegato della società e studente alla Business School di Harvard, sostiene che quando il progetto è nato, i redditizi mercati della creatività stavno mutando direzione: si allontanavano dal modello nel quale erano i dirigenti a decidere cosa dovesse consumare il pubblico. "Crediamo che questo possa essere un vero ribaltamento", ha dichiarato. Con il crowd sourcing si reindirizza il profitto agli appassionati, tagliando completamente fuori la vendita al detttaglio. I suoi sostenitori ritengono che così si offra un'alternativa più economica e flessibile, evitando agli artisti di dover passare dalle grandi società.
Gli stilisti emergenti di New York pensano che questo nuovo modello potrebbe aiutarli a trovare finanziamenti, ultimamente ridotti dalla crisi, e a raggiungere gli acquirenti senza passare per la distribuzione. "Non é facile convincere i venditori a fidarsi di te come nuovo designer", dicono, "Accettarno linee orribili dalla case più note solo per la loro reputazione".
 Negli ultimi anni si è assistito ad una crescita fortissima del Web 2.0 e dei modelli di business basati sui social media, dal credito peer-to- peer, ovvero un sistema di microprestiti tra utenti, di siti come "Prosper", all'esternalizzazione dei problemi tecnici di "Nine Sigma". 
Per  Gulati, ex analista per la banca di investimenti Macquaire, la prossima frontiera del crowd sourcing potrebbe essere l'editoria e il giornalismo, con una scelta paritaria dei contenuti.
Thomas Eisenmann, professore di Harvard che si occupa dei mercati in rete, sostiene che il trend verso i modelli di business interattivi stia accelerando, soppiantando rapidamente i siti basati sul Web 1.0 non interattivo.
Secondo lo studioso, comunque, questa logica si ferma laddove la scelta di un curatore è ancora appetibile, per esempio per quanto riguarda la linea editoriale di alcuni giornali: "non credo che i vecchi modelli stiano sparendo", ha spiegato, "credo che vedremo molti nuovi operatori che aggiungeranno funzioni opzionali".

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